BRUNO BRUNELLI A Padova città romana non potevano mancare luoghi di vasta mole destinati a pubblici spettacoli. Il municipio 'padovano era allora assai esteso, popolatissimo e ricchissimo : a valutare l' importanza della città sotto l'impero di Augusto basterebbe la notizia data da Strabene, secondo cui Padova poteva vantare 500 ascritti all' ordine equestre e porre in armi un esercito di 120 000 soldati. E come vediamo altre città, meno ricche e meno popolate di quanto allora dovesse essere Padova, abbellite di arene e di teatri, è facile che qui pure edifici consimili non mancassero. Di essi il visitatore di Padova odierna non vede traccia se non dell' Arena : pochi e poveri ruderi, ma non meno cari a quanti vorrebbero vedere conservate gelosamente, e con maggior amore di quanto non accada di solito, le antiche memorie civiche, per un sentimento che appare feticismo soltanto a chi non sa leggere le più umili testimonianze di tempi lontani. Tanto più ricchi di significati sono i ruderi dell' Arena che ci appaiono là dove lo sviluppo edilizio di Padova si è più modernamente attuato. Ma se l' Arena padovana, simile a quella di Pola, o meglio, per dimensioni e forma, a quella di Nimes,era il luogo riservato alle lotte dei gladiatori e delle fiere, altri luoghi per pubblici spettacoli erano in altre parti della città. Un' arena, detta Colosseo, sorgeva fra quella che fu poi la porta dei Businello e l'attuale piazza del Santo: vi si svolgevano giochi ginnici ed altre feste. E nel Prato della Valle, allora Campo Marzio, sorgeva un teatro vero e proprio, detto Zairo, sul tipo di quelli di Verona, di Gubbio, di Pompei. In questo teatro probabilmente ebbero luogo i concorsi poetici e le rappresentazioni che formavano parte del programma dei giochi « Isolatici », una serie di gare atletiche e letterarie, di corse, di declamazioni, di recitazioni tragiche, consacrate agli dei. Ma l'allestimento di questi giochi, che la tradizione voleva istituiti da Antenore, il fondatore della città, era assai costoso, e perciò avevano luogo in ricorrenze trentennali e soltanto nelle città più ricche. Alle gare poetiche e alle rappresentazioni tragiche prendevano pure parte notevoli personalità cittadine : vi si distinse Trasea Peto, di antica e onoratissima stirpe padovana. Trasea era in fama al tempo di Nerone, e fu il secondo dei cittadini padovani eletto Console di Roma.
Il teatro Zairo era assai vasto, con ampie gradinate: la scena, quasi parallela alle attuali case Aganoor, fronteggiava la cavea che raggiungeva il centro del Prato, 1' attuale isola nel centro della piazza. "Prato della Valle, forno de uno Colliseo, che era in lo dicto luogo, dove le persone podeano attorno stare a vederse le Feste, che si faceano in quello, come per simil se ne vede in la Cittade de Roma, el qual Colliseo, se chiamava Zaero, come appar per publici Instrumenti, li quali de presente sono in la Giesa de Santa Justina ". Ma, a quanto pare, i ruderi non davano più idea dellaforma del teatro, se l' Ongarello potè paragonarlo al Colosseo. Forse la scena era la parte su cui più si erano accaniti i saccheggi e le demolizioni. Un secolo e mezzo dopo pure il Cavacio osserva questi ruderi. Esistevano essi ancora nel secolo XVII, poiché ne troviamo cenno da Orsato e in un anonimo viaggiatore francese. Il Brunacci ci dà un interessante disegno della condizione di quelle rovine intorno alla metà del secolo XVIII. Poco dopo ne dovevano restare scarse traccio a causa di nuovi saccheggi. Nell'agosto 1775, iniziandosi lo scavo por il canale elittico, che doveva, secondo il progetto di Andrea Memrao, abbellire il Prato della Valle, vennero alla luce parti delle fondamenta « dell' antico teatro Zaire rinomatissimo. Non v' era dubbio si trattasse di edificio di epoca romana per la compattezza della costruzione, parte in macigno e parte in cotto : era circa tre piedi sotto la superficie del terreno. Ma l'incuria di chi procedeva allo scavo destinava alla completa distruzione questi avanzi di Padova romana, contro cui infierivano i picconi degli scavatori. L'abate Gennari, sempre vigile tutore delle memorie patrie, protestò presso i Presidenti del Prato e altri si associarono alla protesta. Il conte Decio Trento era fra questi, e a proprie spese fece proseguire lo scavo verso via Betlemme (ora Donatello) epresso l'Ospizio dei padri Agostiniani di Monteortoue, perchè si potesse, a scopo di studio, rilevare la pianta dell'edificio.Il disegno fu infatti steso, per incarico del Trento, dall' ingegnere Angelo Ciotto, e ne risultò la forma del teatro semicircolare. Quindi il conte Simone Stratico illustrò i ruderi, conforme al risultato degli scavi, in una lunga dissertazione accompagnata da tavole, ove si tentava la ricostruzione del teatro nella forma è nelle dimensioni. E ragionando pure sull'origine dello Zairo lo Stratico lo fa risalire a epoca più lontana di quella imperiale, anzi all'epoca etrusca. Deducendo dalla pianta una stretta somiglianza col teatro di Gubbio, a questo però minore di dimensioni, lo Stratico immaginava si elevasse sopra il muro esterno un gran porticato, a coronare l'edifìcio. Nel 1823 si dovette approfondire l'alveo del canale intorno all'isola del Prato: nuove muraglie vennero allora alla luce, e tutte evidentemente appartenenti allo stesso edificio. Antonio Noale dalle nuove scoperte trasse più complete congetture. Infatti lo Zairo risultava di maggiore ampiezza di quanto lo avesse supposto lo Stratico:155 piedi circa di raggio, e intorno gradinate e corridoi ampi, a maggior comodo degli spettatori. Nel 1838 altri scavi scopersero nuove traccio: erano queste le fondamenta delle arcate, che dovevano sostenere le gradinate. |
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